Codice Penale art. 416 - Associazione per delinquere.Associazione per delinquere. [I]. Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni [305 1, 306 1, 416-bis; 380 2m c.p.p.] (1). [II]. Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni [305 2, 306 2, 416-bis 1] (1). [III]. I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori [305 3, 306 3, 416-bis; 380 2m c.p.p.]. [IV]. Se gli associati scorrono in armi [585 2-3] le campagne o le pubbliche vie, si applica la reclusione da cinque a quindici anni1. [V]. La pena è aumentata [64] se il numero degli associati è di dieci o più [112 1 n. 1, 417, 418]. [VI]. Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601, 601-bis e 602, nonché all'articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché agli articoli 22, commi 3 e 4, e 22-bis, comma 1, della legge 1° aprile 1999, n. 91, si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma 2. [VII]. Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, e 609-undecies, si applica la reclusione da quattro a otto anni nei casi previsti dal primo comma e la reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal secondo comma 3. competenza: Trib. collegiale; Corte d'Assise (sesto comma) arresto: facoltativo; obbligatorio (primo e terzo comma), nell'ipotesi di cui all'art. 380 2 m c.p.p. fermo: consentito (primo e quarto comma); non consentito, salvo che non ricorra l'ipotesi di cui all'art. 71 d.lg. n. 159 del 2011 (secondo comma) custodia cautelare in carcere: consentita (ma v. art. 275, comma 3, c.p.p.) altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio
[1] Per l'aumento delle pene, qualora il fatto sia commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione, v. art. 71, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, che ha sostituito l'art. 7 1 l. 31 maggio 1965, n. 575. In tema di scioglimento dei consigli comunali e provinciali v. art. 143 d.lg. 18 agosto 2000, n. 267. [2] Comma aggiunto dall'art. 4 l. 11 agosto 2003, n. 228, e successivamente modificato dall'art. 1, comma 5, della l. 15 luglio 2009, n. 94, che ha sostituito le parole «600, 601 e 602», con le parole: «600, 601 e 602, nonché all'articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286». Da ultimo, comma modificato dall'articolo 2, comma 1, della l. 11 dicembre 2016, n. 236 che ha inserito, dopo le parole: «di cui agli articoli 600, 601» la seguente: «, 601-bis» e dopo le parole: «25 luglio 1998, n. 286,» le seguenti: «nonché agli articoli 22, commi 3 e 4, e 22-bis, comma 1, della legge 1° aprile 1999, n. 91.». [3] Comma aggiunto dall'art. 4, l. 1° ottobre 2012, n. 172. InquadramentoIl reato di associazione per delinquere consiste nel promuovere, costituire, organizzare, dirigere ovvero partecipare a una struttura associativa composta da tre o più persone, programmata allo scopo di commettere un numero non predeterminato di delitti, in modo da porre concretamente in pericolo l'ordine pubblico, inteso come assetto e regolare andamento del vivere civile, cui corrisponde nella collettività l'opinione e il senso della tranquillità e sicurezza. La punizione dei responsabili del reato di associazione per delinquere prescinde ed è del tutto autonoma dalla responsabilità per la commissione dei singoli reati-fine costituenti l'attuazione del generico programma criminoso dell'associazione. Il trattamento sanzionatorio dei promotori, dei costitutori, degli organizzatori o dei capi è più severo di quello previsto per i semplici partecipanti, ed è diversamente inasprito nei casi in cui gli associati scorrano in armi le campagne o le pubbliche vie, siano in numero di dieci o più, o l'associazione sia diretta alla commissione dei delitti (contro la personalità individuale o contro la disciplina dell'immigrazione) specificamente indicati nei commi sei e sette dell'articolo in commento. SoggettiSoggetto attivo Il delitto in esame è un reato comune, che può essere commesso da chiunque. È altresì un reato (necessariamente) plurisoggettivo, potendo essere integrato unicamente dall'associazione di tre o più persone. Devono ritenersi computabili, nel numero minimo di tre persone, anche eventuali soggetti incapaci d'intendere e di volere (Fiandaca e Musco, 487; Antolisei, 251; in giurisprudenza Cass., VI, n. 48516/2003). In senso contrario, si è ritenuto doversi escludere la computabilità di soggetti incapaci nel numero minimo di tre persone ai fini della costituzione del sodalizio, in quanto, affinché sussista l'associazione, occorrerebbe una valida volontà associativa esprimibile solo da soggetti capaci (Rosso, 160). L'associazione a delinquere può anche nascere a seguito dell'adesione di altre persone ad un accordo a commettere una pluralità di delitti, intervenuto inizialmente fra due soggetti: in tal caso, il delitto è configurabile soltanto dal momento in cui il vincolo si è esteso al numero minimo di correi (Cass., VI, n. 9117/2011). Il numero minimo degli associati previsto dalla legge per la configurabilità del reato deve essere valutato in senso oggettivo, ossia come componente umana effettiva ed esistente nel sodalizio e non con riferimento al numero degli imputati presenti nel processo; ne consegue che vale a integrare il reato anche la partecipazione degli individui rimasti ignoti, giudicati a parte o deceduti, e che è possibile dedurre l'esistenza della realtà associativa, anche sotto il profilo numerico, dalle attività svolte, dalle quali può risultare in concreto una distribuzione di compiti necessariamente estesa a più di due persone (Cass., V, n. 39223/2010; Cass., VI, n. 12845/2005). Bene giuridicoIl reato di associazione per delinquere tutela (quale bene giuridico) l'ordine pubblico. Tale espressione — da taluno intesa in senso formale, quale sintesi dei principi giuridici dell'ordinamento giuridico dello stato nella sua totalità, rispetto ai cui fini istituzionali (di pacifica convivenza) la sola esistenza di un'organizzazione finalizzata allo scopo di commettere delitti si pone come un'insanabile contraddizione, ponendosene alla stregua di una negazione (Fiore, 1095) — deve viceversa intendersi (secondo la prevalente interpretazione invalsa nella giurisprudenza e nella dottrina) nel significato, d'indole materiale, di assetto e regolare andamento del vivere civile, cui corrisponde nella collettività l'opinione e il senso della tranquillità e sicurezza (v., in tal senso, la Relazione ministeriale sul Progetto del codice penale, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, II, Roma, 1929, 202). Tale bene giuridico deve dunque ritenersi obiettivamente pregiudicato dalla concretizzazione di realtà criminali idonee a raggiungere un sufficiente grado di stabilità e di organizzazione (De Vero, 389; De Vero, 93), sì da dar vita a un ente autonomo organizzato allo scopo di dedicarsi all'esercizio di attività di carattere criminoso (De Francesco, 294), tali da minare in modo effettivo la pacifica e ordinata convivenza civile. Il delitto di associazione per delinquere è un reato di pericolo concreto (Fiandaca e Musco, 489-490; Antolisei, II, 250, Anetrini, 2; Antonini, 318) che va accertato in relazione alla concreta idoneità del sodalizio costituito a porre in pericolo l'ordine pubblico. In tal senso, muovendo dal presupposto che il pericolo per l'ordine pubblico è elemento costitutivo del reato, si è affermato che quest'ultimo si consuma solo nel momento, eventualmente successivo alla costituzione, in cui si determina tale pericolo (Boscarelli, 871). Non sono mancate posizioni inclini a qualificare il reato di associazione a delinquere come reato di danno, ponendo attenzione alla lesione della pace sociale che l'organizzazione criminale in sé e per sé comporta (De Francesco, 294). Si è sul punto ritenuto come l'ambivalenza espressa dalla dottrina sul carattere dannoso o pericoloso della fattispecie costituisce verosimilmente l'esito di una mai risolta tensione tra esigenze di tutela di condizioni di incolumità collettiva e opportunità di anticipazione dell'interesse punitivo, rispetto a specifiche condotte delittuose, nonché della difficoltà pratica di individuare quelle condizioni minimali di convivenza civile tali da ottenere il consenso in ogni tempo della maggioranza dai consociati (De Vero, 74). Persona offesa e danneggiato Costituendo l'ordine pubblico l'unico interesse protetto dalla norma in commento, la relativa persona offesa va individuata esclusivamente nella pubblica amministrazione, con la conseguenza che il privato che assuma di essere danneggiato (civilmente) dal reato non ha titolo a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione, né ha titolo a ricevere l'avviso previsto dall'art. 408 c.p.p. (Cass., VI, n. 30791/2013). Quanto invece all'azione civile di danno, il soggetto a tal fine legittimato non è solo il soggetto passivo del reato (ossia il titolare dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice), ma anche il danneggiato, ossia chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo del reato, con la conseguenza che, ove un reato si inquadri nel piano criminoso di una associazione per delinquere, la vittima del reato-fine è legittimata a costituirsi parte civile sia per il reato-fine che per quello associativo (Cass., II, n. 4380/2015). In tal senso, si è ritenuto che il Comune, nel cui territorio l'associazione a delinquere si è insediata e ha operato, ha titolo alla costituzione di parte civile in relazione al danno che la presenza dell'associazione stessa ha arrecato all'immagine della città, allo sviluppo turistico e alle attività produttive ad esso collegate (Cass., II, n. 150/2012; Cass., I, n. 10371/1995). Muovendo da una definizione formale della nozione di ordine pubblico, Cass., III, n. 9725/1992 ha riconosciuto che il delitto di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando e a reati contro la fede pubblica può dare luogo a risarcimento del danno, poiché l'ordine pubblico, tutelato dall'art. 416, non va inteso in senso riduttivo e cioè limitato alla pubblica tranquillità o alla sicurezza dei cittadini, ma anche al rispetto dei principi fondamentali, sui quali si fonda la convivenza civile e l'ordinato assetto della società. Rientrano tra questi principi anche il reperimento dei mezzi per assicurare allo Stato gli indispensabili introiti tributari, fonte primaria per una corretta gestione della Cosa Pubblica (art. 53 Cost.). Ne deriva che l'Amministrazione Finanziaria risente un danno immediato dalla costituzione dell'associazione, la quale lede uno degli aspetti basilari di quell'ordine fiscale, che rappresenta un precipuo interesse del Ministero preposto. E' stata ammessa la costituzione di parte civile, nei confronti degli imputati di appartenenza ad associazione per delinquere finalizzata alla commissione di furti, del soggetto vittima di un furto (in qualità di danneggiato), avendo la costituzione dell'associazione facilitato la commissione del reato fine, cagionandogli quindi un danno eziologicamente riferibile all'azione od omissione degli associati (Cass. II, n. 31295/2018). E' stata anche ammessa la costituzione di parte civile del Commissario governativo nominato nella procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi non solo nei processi per reati fallimentari, ma anche in relazione al reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di plurimi delitti di bancarotta, dal quale sia derivato un danno al patrimonio dell'impresa fallita (Cass. V, n. 6904/2017). MaterialitàModalità della condotta Le condotte che integrano il reato in commento consistono, alternativamente, nella promozione, costituzione, organizzazione, direzione o partecipazione a un'associazione avente come scopo la commissione di un numero indeterminato e non predefinito di delitti. Le figure del promotore, quella del costituente, quella dell'organizzatore, quella del capo e quella del partecipante a un'associazione per delinquere sono state considerate alla stregua di distinte ipotesi di reato (Anetrini, 4; Boscarelli, 872; De Francesco, 298), ovvero come articolazioni di un'ipotesi-base variamente aggravata (Marini, 574), ovvero ancora, quali scansioni di un'ipotesi criminosa unitaria, costituenti una pluralità di condotte ugualmente dotate di efficienza causale (De Vero, 408). Secondo la giurisprudenza, viceversa, il reato di associazione per delinquere semplice (al pari di quella finalizzata al traffico di stupefacenti e a quella di stampo mafioso) prevede una pluralità di figure criminose autonome di carattere permanente, le quali hanno in comune il riferimento a un'associazione avente quale scopo la commissione di uno o più delitti. Accanto alla figura semplice di reato del mero partecipe, che è punito per il solo fatto di partecipare e che integra autonoma ipotesi di reato, la legge prevede — con specificazione alternativa (promotore, costitutore, organizzatore, etc.) del paradigma legale di riferimento — e punisce più severamente quella qualificata dalla posizione di preminenza di un partecipe rispetto agli altri associati (Cass., I, n. 1198/1986; Cass., I, n. 7462/1985; Cass., V, n. 1768/1983). In tal senso, le attività del promotore, del costitutore, dell'organizzatore e del capo integrano autonome figure di reato e non già circostanze aggravanti del reato commesso dal singolo partecipe (cfr. altresì Cass., I, n. 1435/1985; Cass., III, n. 9267/1984). Conseguentemente, nel caso in cui risulti provata l'esistenza di un'associazione per delinquere, occorre precisare, con adeguata e convincente motivazione, se i singoli associati contribuiscano ad essa quali promotori, costituenti, finanziatori, organizzatori o capi, ovvero quali semplici partecipanti (Cass., VI, n. 14701/1986). Ciò posto, prevedendo il delitto di associazione per delinquere due distinti titoli di reato (che tengono conto delle due diverse condizioni individuali, cioè di promotori, costitutori, organizzatori o di semplici soci), il giudice del merito può definire la condizione individuale di ciascun imputato quando dalla contestazione risulti l'addebito dell'ipotesi di organizzazione, promozione e costituzione dell'associazione; al contrario, ove il titolo delittuoso contenga espressamente il fatto di minore gravità previsto dal secondo comma dell'art. 416, cioè quello di semplici soci, il giudice del merito non può modificarne la struttura senza procedere a contestazione suppletiva (Cass., I, n. 1435/1985). Per promotore deve intendersi colui che assume l'iniziativa della costituzione dell'associazione; la punibilità per il reato consumato presuppone che l'associazione sia effettivamente costituita salvo, in caso contrario, la punibilità per il tentativo (Spagnolo, 4). Assume la natura di promotore anche con lui che, quando l'associazione già esiste, ne alimenta la capacità criminale; qualora il promotore non partecipi all'associazione vi è contrasto circa la sua computabilità o meno al fine del raggiungimento del numero minimo di partecipi (Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa, 1095). Costitutore è colui che materialmente e concretamente crea l'associazione. Organizzatore è colui che, ricoprendo ruoli essenziali e di carattere autonomo nel proprio ambito, garantisce l'idoneità della struttura e la sopravvivenza dell'associazione. I capi sono i soggetti dotati di autorità all'interno del contesto collettivo, chiamati a svolgere funzioni di supremazia gerarchica nell'ambito del gruppo, nonché a regolamentarne la vita, eventualmente esercitando funzioni repressive sui consociati. Secondo Cass, IV, n. 29628/2016 , nel reato di associazione per delinquere "capo" è non solo il vertice dell'organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati. La figura del partecipe individua una categoria residuale: il relativo ruolo, tuttavia, lungi dal rimanere meramente passivo, consiste nel contribuire al mantenimento dell'associazione e al raggiungimento dei suoi scopi, ferma restando la fondamentale diversità tra la contribuzione all'associazione e quella fornita per la realizzazione dei delitti-scopo (De Francesco, 142). L'accertamento del minimum indispensabile al fine di integrare la partecipazione può privilegiare il momento organizzativo, identificando il ruolo del partecipe nel quadro della struttura associativa, ovvero può valorizzare l'aspetto causale, basato sull'effettivo rafforzamento assicurato al gruppo dalla sua azione funzionale, intesa nella prospettiva della razionalità del contributo fornito rispetto allo scopo dell'associazione, fermo restando il problema dell'individuazione in concreto della consistenza minima necessaria di tale contributo (Aleo, 19). In tal senso, esemplificativamente, si è ritenuto sufficiente, ai fini del riscontro nella partecipazione all'associazione, la copertura di un capo (Cass., I, n. 3104/1983); la condotta organicamente e costantemente coordinata con gli associati (Cass., I, n. 9242/1988), o anche (sia pure come indizio) la condotta di favoreggiamento degli associati (Cass., III, n. 3461/1999). Lo svolgimento di molteplici ruoli all'interno del medesimo gruppo criminale non comporta la punibilità a diverso titolo, data l'unità causale dei diversi contributi (Valiante, 54) e il principio del ne bis in idem osta a che un soggetto sia chiamato a rispondere a diverso titolo per un periodo già oggetto di precedente accertamento giudiziale (Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa, 1095). Al fini dell'integrazione della materialità del delitto punito dall'art. 416 non è necessaria una distribuzione gerarchica di funzioni, l'esistenza di un rapporto di subordinazione o la presenza di un capo; evenienza quest'ultima che la norma, al pari dell'esistenza di promotori, costitutori od organizzatori, considera come eventuale, configurando un'autonoma e più grave fattispecie criminosa (Cass. III, n. 19198/2017: in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto che correttamente i giudici di merito, pur senza affermare l'esistenza di un'organizzazione gerarchica, avessero qualificato l'imputato - famoso sportivo e preparatore atletico che prescriveva anabolizzanti a culturisti, adoperandosi presso i correi per far procurare ai clienti le sostanze necessarie in funzione della disponibilità del materiale e dell'evolvere dei trattamenti - promotore ed organizzatore di un'associazione per delinquere finalizzata al commercio di tali sostanze, sottolineando come i singoli episodi di somministrazione accertati in giudizio dovessero essere valutati in proiezione dinamica, quale prova sia dei reati-fine sia anche del sodalizio e, quindi, del ruolo in esso svolto dall'imputato). Accordo, concorso e associazione Le attività consistenti nel promuovere, costituire, organizzare, dirigere o partecipare a un'associazione a delinquere si differenziano dal mero accordo diretto alla commissione di uno o più specifici reati: in particolare, affinché vi sia un'associazione è necessaria l'esistenza di un minimum di organizzazione a carattere stabile, pur senza una specifica distribuzione di funzioni all'interno del gruppo (Antolisei, 248-249). Mentre nel concorso di persone nel reato l'accordo è circoscritto alla realizzazione di uno o più delitti, programmati in tutte le loro componenti, esaurendosi nel momento della commissione degli stessi, nell'associazione per delinquere, dopo la commissione dei reati, l'organizzazione permane per l'attuazione del prestabilito fine criminoso (necessariamente diretto alla consumazione di un numero indeterminato di reati: Cass., VI, n. 9096/2013), col conseguente pericolo per l'ordine pubblico che ne è caratteristica essenziale (Cass., I, n. 6228/1986). Per quanto l'accordo costituisca elemento comune sia al concorso di persone nel reato sia all'associazione per delinquere, i due fenomeni restano caratterizzati da aspetti strutturali e teleologici profondamente differenziati. Dal primo punto di vista, l'accordo che designa la fattispecie plurisoggettiva semplice (sia essa necessaria ovvero eventuale) è funzionale alla realizzazione di uno o più reati, consumati i quali l'accordo si esaurisce o si dissolve. Del resto, l'accordo, in tanto diviene rilevante nei confini della mera ipotesi concorsuale in quanto pervenga ad una concreta realizzazione dell'assetto divisato, ad un'attività esecutiva, dunque, che non si arresti alle soglie del tentativo. Di conseguenza, il mero accordo allo scopo di commettere un reato, non traducendosi in un'attività di partecipazione al reato stesso resta assoggettato al principio di ordine generale stabilito dall'art. 115. A tale regola il primo comma dell'art. 115 enuncia un'espressa eccezione ma sempre relativa all'ipotesi in cui «due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato e questo non sia commesso»; cosicché i criteri interpretativi destinati a risolvere le (solo apparenti) antinomie tra accordo non punibile e reato associativo non possono essere compiutamente individuati chiamando in causa il solo principio di specialità. E ciò per la mancanza di un vero e proprio rapporto di genere a specie, postulando il reato associativo una base plurisoggettiva qualificata, non richiesta, invece, nell'ipotesi di accordo. Una constatazione che vale anche ai fini della distinzione tra fattispecie meramente concorsuale e fattispecie associativa, rappresentando il minimum soggettivo richiesto dalla legge relativamente alla seconda categoria di reati un dato non richiesto, invece, per l'attività di mera partecipazione, così da consentire l'utilizzazione del medesimo criterio interpretativo pure quel che più interessa nel discriminare le categorie ora ricordate (Cass, VI, n. 9320/1995). Vincolo associativo, organizzazione, programma L'accordo associativo costituisce elemento essenziale del reato di associazione per delinquere, poiché a esso risale la costituzione del vincolo permanente a causa della consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio e di partecipare, con contributo causale, alla realizzazione di un duraturo programma criminale. Rispetto a tale requisito, assumono carattere secondario gli elementi organizzativi che si pongono a substrato del sodalizio: elementi la cui sussistenza è richiesta nella misura in cui dimostrano che l'accordo può dirsi seriamente contratto, nel senso cioè che l'assoluta mancanza di un supporto strumentale priva il delitto del requisito dell'offensività: si è peraltro ritenuto che, pur essendo necessaria, ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere, l’esistenza di un programma criminoso che preveda un numero indeterminato di delitti da commettere, l'associazione può ben essere costituita per operare per un tempo determinato (Cass. V, n. 41720/2019: fattispecie in tema di associazione creata per commettere un numero indeterminato di reati di corruzione elettorale, allo scopo di fare eleggere, in una specifica consultazione, uno degli organizzatori del sodalizio). Tanto sta pure a significare che, sotto un profilo ontologico, è sufficiente un'organizzazione minima perché il reato si perfezioni, e che la ricerca dei tratti organizzativi non è diretta a dimostrare l'esistenza degli elementi costitutivi del reato, ma a provare, attraverso dati sintomatici, l'esistenza di quell'accordo fra tre o più persone diretto a commettere più delitti, accordo in cui il reato associativo di per sé si concreta (Cass., VI, n. 10725/1998; Cass, IV, n. 22824/2006). Secondo Cass., V, n. 10076/1998, in tema di reati associativi, ciò che rileva è l'effettiva costituzione e operatività di un'organizzazione stabile, posta in essere da tre o più persone (aventi consapevolezza di parteciparvi) allo scopo di realizzare un programma criminoso protratto nel tempo, con ripartizione di compiti tra gli associati. Poiché, dunque, l'esplicita manifestazione di una volontà associativa non è necessaria per la costituzione del sodalizio, la consapevolezza dell'associato non può che essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione. In breve, ai fini della configurabilità del delitto di associazione per delinquere, accanto e oltre al vincolo associativo (tendenzialmente permanente, o comunque stabile), è necessaria la predisposizione di un'organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi, funzionale e idonea alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti (nel senso della non indispensabilità di gerarchie interne e distribuzione di cariche v. Cass., VI, n. 5500/1998), nella consapevolezza, da parte di singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad operare nel tempo per l'attuazione del programma criminoso comune (Cass., II, n. 16339/2013; Cass., II, n. 20451/2013). Nel pensiero della dottrina, il carattere stabile e strutturato dell'organizzazione (assente nel mero concorso) costituisce l'elemento dirimente della fattispecie associativa (De Vero, 390); l'associazione, infatti, si caratterizza proprio in quanto, a differenza del concorso, rappresenta una struttura idonea a costituire un supporto stabile all'attività criminale (De Francesco, 290), pur se la struttura organizzativa e il programma criminoso generico siano anticipatamente previsti come limitati nel tempo (Cass., I, n. 12681/2008). Devono considerarsi integrati i requisiti della stabilità del vincolo associativo e dell'organizzazione di mezzi nel caso in cui gli associati, per realizzare il programma criminoso del sodalizio, abbiano utilizzato una società commerciale tra loro costituita imponendole un modulo operativo illecito (Cass., VI, n. 43656/2010). Allo stesso modo, ricorre la struttura organizzativa dell'associazione per delinquere quando i componenti di una stessa famiglia non si limitano alla commissione di una serie di reati traendo vantaggio dalla preesistente organizzazione familiare, ma realizzano, nell'ambito della preesistente struttura o accanto ad essa, un'altra organizzazione, dotata di distinta e autonoma operatività criminosa (Cass., II, n. 21606/2009; Cass., II, n. 49007/2014). Nel senso della possibile preesistenza dell'organizzazione strutturale alla conclusione dell'accordo associativo e della possibile sufficienza che il vincolo — pur non stabile — non sia a priori circoscritto alla consumazione di uno o più reati predeterminati v. Cass., VI, n. 10886/2013. Per la sussistenza del reato associativo non è invece necessaria l'effettiva commissione dei reati-fine (Cass., I, n. 1440/1986), ma è sufficiente l'esistenza della struttura organizzativa e del carattere criminoso del programma; l'esistenza del reato associativo permane anche quando taluno dei reati-fine non costituisce più illecito penale a seguito di abolitio criminis (Cass., VI, n. 7187/2003), ed anche a seguito dell'intervenuta estinzione degli stessi (Cass., I, n. 9307/1985) o per effetto dell'assoluzione del partecipe dall'accusa relativa a taluni reati-fine (Cass., IV, n. 8092/2014). Viceversa, la sopravvenuta integrale depenalizzazione dei reati-fine di un'associazione per delinquere fa venire meno ex tunc la rilevanza penale dello stesso fatto associativo, perché, ferma restando l'autonomia del reato di associazione, è necessario che il relativo programma abbia carattere criminale (Cass, I, n. 13382/2005). E' stata ammessa la configurabilità della partecipazione ad una associazione a delinquere anche nel caso in cui l'associato venga pagato di volta in volta, allorquando i reati-fine vengano a perfezionamento, essendo questo il momento tipico della ripartizione dei proventi illeciti (Cass. II, n. 49253/2019). È possibile la simultanea partecipazione a più sodalizi criminosi, in specie quando una delle associazioni sia costituita con il consenso dell'altra e operi sotto il suo controllo oppure sia a questa legata da vincolo federativo (Cass., I, n. 25727/2008). È possibile ritenere infatti la contemporanea appartenenza a diverse associazioni allorché un soggetto faccia parte, anche in coincidenza temporale, di un organismo criminoso che, oltre a operare in proprio, sia anche inserito in una federazione di analoghi organismi, avente sue proprie e distinte finalità, in funzione delle quali appunto essa è stata concepita e realizzata (Cass., II, n. 17746/2008). Qualora più associazioni criminose raggiungano un accordo dal quale scaturisce una struttura operativa e organizzata, finalizzata stabilmente alla commissione di delitti mediante l'apporto specializzato di ciascuna delle stesse associazioni, prende vita un autonomo ente criminoso, diverso da quelli che hanno concorso alla relativa formazione, l'appartenenza al quale comporta per gli interessati una responsabilità concorrente con quella relativa all'organizzazione di provenienza (Cass., VI, n. 11814/2003; Cass., II, n. 478/1995). Forma della condotta Il reato in esame è un reato a forma libera, assumendo rilievo tutte le possibili condotte idonee in qualsiasi modo ad assicurare un qualunque contributo ai fini dell'associazione, purché causale rispetto all'evento tipico (Cass., I, n. 2111/1986) benché a tal fine non indispensabile (Cass., n. 5424/2010). Ai fini della configurabilità del reato associativo, dunque, ciò che rileva è l'effettivo contributo fornito con carattere di stabilità, al raggiungimento degli scopi della struttura criminosa, purché detto contributo sia fornito con la consapevolezza e la volontà di inserirsi organicamente nella vita del gruppo delinquenziale. In tal senso, è ininfluente la circostanza che l'inserimento nel gruppo avvenga per mandato di terza persona, essendo irrilevanti le ragioni per le quali si partecipa alla vita della societas sceleris (Cass., V, n. 33717/2001). L'appartenenza di un soggetto a un sodalizio criminale può essere desunta anche dalla relativa partecipazione a un solo reato-fine (Cass. S.U., n. 10/2001; Cass., II, n. 2740/2012); in tal caso, peraltro, è necessario che il ruolo svolto e le modalità dell'azione siano tali da evidenziare la sussistenza del vincolo e ciò può verificarsi solo quando detto ruolo non avrebbe potuto essere affidato a soggetti estranei oppure quando l'autore del singolo reato impieghi mezzi e sistemi propri del sodalizio in modo da evidenziare la sua possibilità di utilizzarli autonomamente e cioè come membro e non già come persona a cui il gruppo li ha posti occasionalmente a disposizione (Cass, V, n. 6446/2014; Cass., V, n. 2838/2002). Quando la partecipazione dell'imputato al sodalizio criminoso viene desunta dalla sola commissione di singoli episodi criminosi, è indispensabile che siffatte condotte, per le loro connotazioni, siano in grado di attestare, al di là di ogni ragionevole dubbio e secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico della persona, funzionale all'associazione e alle sue dinamiche operative e di crescita criminale, e risultino compiute con l'immanente coscienza e volontà dell'autore di fare parte dell'organizzazione (Cass., VI, n. 50965/2014). La persona che attui più volte — in concorso con i partecipi al sodalizio criminoso — reati-fine di questo, deve ritenersi raggiunta per ciò stesso da gravi, precisi e concordanti indizi in ordine alla commissione del reato associativo, i quali possono essere superati solo con la prova contraria che il contributo fornito non è dovuto ad alcun vincolo preesistente con i correi, fermo restando che detta prova, stante la natura permanente del reato de quo, non può essere assolta con l'allegazione della limitata durata dei rapporti con essi correi intercorsi (Cass., II, n. 5424/2010; Cass., V, n. 6026/1997). In tema di associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei reati di commercializzazione di sostanze dopanti, l'esistenza del vincolo associativo ben può desumersi dalla stabilità dei collegamenti tra acquirente e fornitore delle sostanze, quale elemento che garantisce, al secondo, la consapevolezza di un sicuro smercio delle stesse e, al primo, la sicurezza in ordine ad una stabile fonte di approvvigionamento (Cass. III, n. 9499/2009). Qualora la partecipazione all'associazione venga desunta anche dalla ospitalità concessa a un ricercato — episodio per il quale sia già intervenuta condanna definitiva per favoreggiamento —, non può invocarsi, in sede di giudizio de libertate, il principio del ne bis in idem. Invero, l'inammissibilità di un secondo giudizio impedisce al giudice di procedere contro lo stesso imputato per il medesimo fatto, già giudicato con sentenza irrevocabile, ma non gli preclude di prendere in esame lo stesso fatto storico e di valutarlo liberamente ai fini della prova di un diverso reato (Cass., V, n. 15/2000). Natura della condotta Le condotte dirette a integrare la fattispecie criminosa dell'associazione per delinquere sono tutte attive, non potendo ipotizzarsene la realizzazione in forma meramente omissiva. In tal senso, deve escludersi il carattere propriamente omissivo dell'atteggiamento inerte o del silenzio (dell'agente cui in ipotesi si predichi l'adesione al consorzio criminale) obiettivamente interpretato, alla luce delle circostanze concrete e degli indici di fatto rigorosamente individuabili in concreto, come inequivoca espressione di una manifestazione di volontà di adesione al sodalizio; in tal caso, infatti, il comportamento dell'agente deve comunque intendersi alla stregua di una forma (positiva) di manifestazione concreta (seppur non dichiarativa) della propria volontà criminale. In senso contrario, si è ritenuto che, secondo una concezione bifasica del reato permanente, il reato in esame integri un'ipotesi di fattispecie omissiva, in quanto richiede dapprima un atto associativo e successivamente una condotta di mancato recesso (Boscarelli, 867). Evento L'associazione per delinquere è un reato di mera condotta consistente nel compimento degli atti intesi al promovimento, alla costituzione ovvero alla partecipazione a un sodalizio criminale. Nel solo caso in cui si ritenga dissociabile la condotta di promovimento o di costituzione dell'associazione dall'evento costituito dall'obiettiva e concreta realizzazione del pericolo per l'ordine pubblico, il reato de quo può intendersi alla stregua di un reato di evento: in tal senso, si è affermato che, dovendo ravvisarsi nel pericolo per l'ordine pubblico un elemento costitutivo del reato di associazione per delinquere, quest'ultimo si consuma solo nel momento, eventualmente successivo alla costituzione, in cui si determina tale pericolo (Boscarelli, 871). Rapporti tra reato associativo, concorso nel reato continuato e reati-fine Il criterio distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato viene generalmente individuato nel carattere dell'accordo criminoso, che nell'indicata ipotesi di concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati determinati — anche nell'ambito del medesimo disegno criminoso — con la realizzazione dei quali si esaurisce l'accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all'attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell'effettiva commissione dei singoli reati programmati (Cass. II, n. 933/2013). È ipotizzabile la continuazione tra il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere e i reati fine, a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si determina a fare ingresso nel sodalizio (Cass. I, n. 23818/2020, con la precisazione che, ragionando diversamente, si finirebbe per riconoscere una sorta di automatismo, con il conseguente beneficio sanzionatorio, per cui tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie di reato associativo). Qualora sia riconosciuta l'appartenenza di un soggetto a diversi sodalizi criminosi, è possibile ravvisare il vincolo della continuazione tra i diversi reati associativi solo a seguito di una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, avuto riguardo ai profili della contiguità temporale, dei programmi operativi perseguiti e del tipo di compagine che concorre alla loro formazione, non essendo a tal fine sufficiente la valutazione della natura permanente del reato associativo e dell'omogeneità del titolo di reato e delle condotte criminose (Cass., VI, n. 6851/2016). Il ruolo di partecipe o anche di capo dell'associazione non implica l'automatica responsabilità per i delitti compiuti dagli appartenenti al sodalizio, anche se riferibili all'organizzazione e inseriti nel quadro del programma criminoso, in quanto dei reati-fine rispondono soltanto coloro che, materialmente o moralmente, hanno dato un contributo effettivo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all'attuazione della singola, specifica, condotta criminosa, dovendosi escludere qualsiasi forma di responsabilità anomala da posizione o da "riscontro ambientale" (Cass. II, n. 36251/2020). Tuttavia, il partecipe di un’associazione per delinquere risponde dei reati strumentali, e cioè di quelli che sono strumento di attuazione del programma criminoso, pur se non abbia concorso alla loro commissione, in ragione dell’adesione alla realizzazione dello scopo criminoso che richiede una comune predisposizione di mezzi e implica la consapevolezza in ciascuno degli associati di concorrere a detta predisposizione (Cass. II, n. 32901/2007). Il profitto del reato associativo Quanto al profitto generato dall'attività criminale, appariva, in passato, dominante l'orientamento per il quale il delitto di associazione per delinquere è idoneo a generare di per sé un profitto, a sua volta sequestrabile, ai fini della successiva confisca per equivalente (nei casi previsti dalla legge), in via del tutto autonoma rispetto a quello prodotto dai reati-fine; in tali casi, il profitto generato dall'associazione è costituito dal complesso dei vantaggi che conseguono direttamente dalla commissione dell'insieme dei reati-fine (siano essi attribuibili a uno o più associati, anche non identificati), posto che l'istituzione della societas sceleris è funzionale alla ripartizione degli utili derivanti dalla realizzazione del programma criminoso (Cass. III, n. 26721/2015), la cui esecuzione è agevolata dall'esistenza di una stabile struttura organizzata e dal comune progetto delinquenziale (Cass. III, n. 5869/2011). Deve dunque ritenersi confiscabile il profitto illecito generato dal delitto di associazione per delinquere (in via del tutto autonoma da quello conseguito dai reati-fine perpetrati in esecuzione del programma criminoso), tale essendo il complesso delle utilità percepite dagli associati per il contributo prestato al fine di assicurare il regolare funzionamento del sodalizio (Cass. II, n. 6507/2015). In senso contrario, si è peraltro, ritenuto che il reato di associazione per delinquere non genera autonomamente dai reati-fine vantaggi economici costituenti prodotto o profitto illecito immediatamente riconducibili al sodalizio criminale come tali suscettibili di confisca, in quanto il mero fatto di associarsi al fine della commissione di più delitti è di per sé improduttivo di ricchezze illecite (Cass., I, n. 7860/2015). L'orientamento più recente, nel solco dell'orientamento consolidato, ribadisce che il delitto di associazione per delinquere é idoneo a generare un profitto autonomo rispetto a quello prodotto dai reati fine, il quale è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall'insieme di questi ultimi, precisando che questa interpretazione trova conferma indiretta nell'art. 24-ter d.lgs. n. 231/2001, che, seppure con riferimento alla responsabilità degli enti, prevede la configurabilità di un profitto conseguente alla commissione del reato di associazione per delinquere commesso nell'interesse o vantaggio dell'ente stesso (Cass. II, n. 30255/2017). Il concorso “eventuale” nell’associazione a delinquere Il concorso eventuale di persone nel reato associativo è configurabile, oltre che nell'ipotesi di cui all'art. 416-bis, anche in relazione al reato di associazione per delinquere generica (Cass. III, n. 38430/2008) e consiste nel condividere la responsabilità per il pregiudizio che l'associazione reca all'ordine pubblico, mediante un contributo materiale o morale al vincolo dei partecipi, senza che l'agente concorrente sia a sua volta vincolato. Ne deriva che quando il contributo sia duraturo, la prova negativa del vincolo proviene dall'esclusione secondo regole interne, anche consuetudinarie, dell'associazione, circa l'affiliazione o il comportamento dei membri. In assenza di esse, ove si dimostri che gli affiliati fanno preventivo affidamento sul contributo di taluno, la condotta di questi, non essendo svincolata dallo scopo sociale, va considerata alla stregua di quella di qualsiasi partecipe. Al contrario, ove gli affiliati non facciano preventivo conto sul suo apporto, la relativa condotta è qualificabile come concorso eventuale nel reato (Cass. V, n. 12591/1995). Il concorso eventuale nell'associazione per delinquere può essere riscontrato anche in relazione a una fase temporalmente limitata (Cass. II, n. 47602/2012). Elemento soggettivoIl dolo Il delitto in esame richiede il dolo consistente nella coscienza e volontà del promovimento, costituzione, organizzazione, direzione o partecipazione all'associazione criminale, anche senza necessità che gli associati si conoscano tra loro (Fiandaca e Musco, 489). È altresì necessaria l'intenzione (dolo specifico) di contribuire all'attuazione del generico programma criminoso, ossia della volontà di commettere reati, senza necessità che la volontà abbia a oggetto immediato la realizzazione di ben individuati delitti (Fiandaca e Musco, 490). Nell'integrazione della fattispecie in esame è richiesta la consapevolezza, da parte dei singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad operare nel tempo per l'attuazione del programma criminoso comune (in giurisprudenza Cass., II, n. 20451/2013). Per i concorrenti qualificati (promotore, organizzatore, etc.), deve ritenersi indispensabile la consapevolezza della qualifica (Spagnolo, 7). In breve, il dolo del delitto di associazione a delinquere è dato dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell'accordo e quindi del programma delinquenziale in modo stabile e permanente. Quando la condotta si esaurisca nella partecipazione a un solo episodio criminoso, non è esclusa la responsabilità per il reato associativo, ma la prova della volontà di partecipare all'associazione deve essere particolarmente puntuale e rigorosa (Cass., VI, n. 5970/1997). Il dolo del delitto di associazione può anche desumersi, sul piano indiziario, dalla stessa realizzazione dell'attività delittuosa in termini conformi al piano associativo (Cass., VI, n. 50334/2013); si è precisato che il dolo del delitto di associazione a delinquere è integrato dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione del programma delinquenziale in modo stabile e permanente: ne consegue che, sebbene la commissione di uno o più delitti programmati dall'associazione non dimostri automaticamente l'adesione alla stessa, questa può desumersi in modo fortemente indiziante dalla stessa realizzazione dell'attività delittuosa in termini conformi al piano associativo (Cass. II, n. 35141/2019). Poiché il delitto di associazione per delinquere è caratterizzato dal dolo specifico (dovendo conseguentemente sussistere la volontà del concorrente di contribuire a realizzare gli scopi in vista dei quali è costituito ed opera il sodalizio criminoso), non può ipotizzarsi un concorso nel delitto associativo a titolo di dolo eventuale (Cass., II, n. 4342/1994). Il principio è stato più recentemente ribadito da Cass. III, n. 1465/2024, per la quale, in particolare, l'elemento soggettivo del delitto di associazione per delinquere non può consistere nel dolo eventuale, inteso come prospettazione, da parte dell'agente, della concreta possibilità di partecipare attivamente e stabilmente a una consorteria che persegue lo scopo di commettere un numero indeterminato di delitti, richiedendosi il dolo diretto, che postula la consapevolezza della finalità perseguita dal sodalizio con il quale si collabora in maniera stabile e attiva, atteso che è proprio la finalità di commettere un numero indeterminato di delitti l'elemento discriminante, che rende illecita l'associazione, altrimenti organismo lecito, al quale si partecipa in esplicazione del diritto fondamentale riconosciuto dall'art. 18 Cost. La diminuente del vizio parziale di mente è compatibile con la peculiare intensità del dolo riconducibile alla posizione di capo di un'associazione criminosa (Cass., n. 46817/2009). L'errore sul carattere delittuoso delle condotte programmate costituirebbe error iuris inidoneo a escludere l'elemento soggettivo (Anetrini, 5); in senso contrario, tenuto conto che l'espressione “al fine di commettere delitti” introduce un elemento normativo di fattispecie presupponendo la conoscenza dell'illiceità del programma, l'errore sarebbe assoggettato alla disciplina dell'art. 47, comma 3 (De Francesco, 306; Fiandaca e Musco, 477). La colpa Il reato di associazione per delinquere non è punibile a titolo di colpa. Consumazione e tentativoConsumazione Il delitto di associazione per delinquere si consuma nel momento in cui viene a esistenza l'associazione, sorgendo in tale momento il pericolo per l'ordine pubblico, senza alcuna necessità che trovino realizzazione i reati programmati (Fiandaca e Musco, 469). In particolare, il delitto deve ritenersi consumato nel luogo di costituzione del sodalizio criminoso a prescindere dalla localizzazione dei reati fine eventualmente realizzati (Cass., I, n. 24849/2001). In difetto di elementi storicamente certi in ordine alla genesi del vincolo associativo, soccorre (anche ai fini del radicamento della competenza territoriale del giudice chiamato a decidere sul reato) il riferimento a criteri presuntivi, che valgono a radicare la competenza territoriale nel luogo in cui il sodalizio criminoso si manifesti per la prima volta all'esterno, ovvero in cui si concretino i primi segni della sua operatività, ragionevolmente utilizzabili come elementi sintomatici della genesi dell'associazione nello spazio (Cass., III, n. 35521/2007; Cass., I, n. 6648/1995). In senso contrario, muovendo dal carattere costitutivo del pericolo per l'ordine pubblico in relazione alla struttura del reato di associazione per delinquere, si è ritenuto che quest'ultimo si consuma solo nel momento, eventualmente successivo alla costituzione, in cui si determina tale pericolo (in dottrina Boscarelli, 871). In questa valorizzazione prospettica dell'elemento del pericolo per l'ordine pubblico s'inserisce l'affermazione (più risalente nel tempo) secondo cui la costituzione di un'associazione per delinquere non si verifica nel momento in cui interviene l'accordo fra i compartecipi, ma in quello della costituzione di un'organizzazione permanente, frutto del concerto, anch'esso a carattere permanente, di intenti e di azione fra gli associati. Solo in tale momento infatti — divenendo operante la struttura permanente e presentandosi quel pericolo della commissione dell'attività indicata dalla legge, che giustifica le singole incriminazioni — si realizza quel minimum di mantenimento della situazione antigiuridica necessaria alla sussistenza dei delitti di costituzione di associazione per delinquere, che segna il momento di perfezione e nel contempo di inizio della consumazione di essi (Cass., VI, n. 5445/1989; Cass., VI, n. 10488/1987). Segue . II carattere permanente del reato L'indole tendenzialmente stabile dell'associazione induce a qualificare l'integrazione della fattispecie in esame come un reato a carattere permanente (Antolisei, 249), la cui consumazione si protrae finché l'associazione rimane in vita (Fiandaca e Musco, 490). La natura permanente del reato di associazione per delinquere ne consente la compatibilità con lo stato di flagranza (Anetrini, 4), poiché quest'ultima è configurabile tutte le volte che sia possibile stabilire un nesso tra il soggetto e il reato, specie con l'elemento materiale di questo (Cass., I, n. 6481/1998). In presenza di un reato permanente nel quale la contestazione sia stata effettuata nella forma cosiddetta "aperta" o a "consumazione in atto", senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, la regola di "natura processuale" per la quale la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data, spettando all'accusa l'onere di fornire la prova a carico dell'imputato in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all'indicato ultimo limite processuale (Cass., II, n. 23343/2016). La permanenza del reato di associazione per delinquere cessa (oltre che con lo scioglimento o il recesso da questa o la riduzione dei partecipanti a un numero inferiore a tre) con la privazione della libertà personale dell'agente (Cass., VI, n. 15874/2004); pertanto, se dopo la scarcerazione risulti provata l'ulteriore adesione al sodalizio, deve ravvisarsi un nuovo e autonomo reato (Cass., V, n. 2136/1999; Cass., VI, n. 3040/1999). In senso contrario, si è ritenuto nei delitti associativi il momento della privazione della libertà dell'agente a causa dell'intervento coattivo dell'autorità non determina necessariamente l'estromissione della persona dall'associazione o il suo recesso da questa, sicché solo nell'evenienza che possa ritenersi raggiunta la prova circa l'avvenuto verificarsi dell'una o dell'altra di questa condizioni dovrà riconoscersi all'arresto valore di atto interruttivo della permanenza nel reato (Cass., II, n. 17100/2011; Cass., IV, n. 2893/2005). Per contro, la sentenza, anche non irrevocabile, che accerti la responsabilità dell'imputato, vale a interrompere l'attività, ancorché in corso, atteso che la sentenza di primo grado segna il termine ultimo e invalicabile di protrazione della permanenza del reato, in quanto la condotta futura dell'imputato trascende necessariamente l'oggetto del giudizio (Cass., II, n. 23695/2012; Cass, I, n. 17265/2008); da ciò consegue che la porzione di condotta illecita successiva alla pronuncia, se pur ontologicamente non disgiungibile dalla precedente, sarà perseguibile a titolo di reato autonomo, anche se non si è ancora formato il giudicato sulla responsabilità (Cass., I, n. 550/1993). Qualora, viceversa, sia stata pronunciata assoluzione, non può ritenersi operante in virtù di tale sentenza alcun effetto interruttivo della permanenza della condotta criminosa, proprio perché è carente l'accertamento di un reato, da ciò conseguendo esclusivamente la preclusione del giudicato di cui all'art. 649 c.p.p.; in tali ipotesi, pertanto, il divieto di un secondo giudizio vale solo per i fatti verificatisi fino alla data indicata nella contestazione, indipendentemente dalla data di pronuncia della sentenza assolutoria (Cass., II, n. 1949/1997). Al riguardo, si è ritenuto che, poiché l'assunzione di un ruolo organizzativo da parte di un aderente a un'entità associativa di carattere criminoso non è necessariamente collegata alla creazione della struttura organizzativa dell'associazione (atto di per sé irripetibile, finché l'associazione dura), ma è piuttosto collegata alla prestazione, anche (ma non necessariamente) protratta nel tempo, di una qualsivoglia attività che risponda a bisogni essenziali della associazione medesima e presenti al tempo stesso caratteri di (relativa) infungibilità, ne deriva che la protrazione di una siffatta attività oltre la data indicata come terminativa di essa in una precedente sentenza di condanna non può non essere considerata come un fatto nuovo e diverso, suscettibile di autonoma sanzione (Cass., I, n. 11344/1993). In argomento, si è successivamente osservato che l'accertamento contenuto nella sentenza di condanna delimita la protrazione temporale della permanenza del reato con riferimento alla data finale cui si riferisce l'imputazione ovvero alla diversa data ritenuta in sentenza, o, nel caso di contestazione c.d. aperta, alla data della pronuncia di primo grado, sicché la successiva prosecuzione della medesima condotta illecita oggetto di accertamento può essere valutata esclusivamente quale presupposto per il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i vari episodi (Cass. II, n. 680/2020, con la precisazione che la preclusione derivante dal giudicato, con riferimento ad un reato associativo, non presuppone soltanto che il sodalizio oggetto dei diversi procedimenti sia identico sotto il profilo storico-naturalistico, occorrendo anche la sovrapponibilità dei periodi rispetto ai quali è contestata la partecipazione dell'associato e la perdurante operatività dell'organizzazione). Si è, da ultimo, osservato che, nei casi in cui il reato sia stato contestato senza specificazione del termine finale della condotta, ma con indicazione della sola data di accertamento, il giudice del dibattimento deve verificare in concreto se la fattispecie decritta nell'imputazione si sia già esaurita prima, dopo o contestualmente a tale accertamento o sia ancora in atto, poiché, in tale ultimo caso, deve ritenersi che la contestazione comprenda anche l'ulteriore eventuale permanenza e se ne può tenere conto a ogni effetto penale, senza la necessità di un'ulteriore contestazione da parte del pubblico ministero (Cass., II, n. 15551/2022). Tentativo Secondo la giurisprudenza meno recente, deve ritenersi ipotizzabile il tentativo punibile quando si tratti di condotta che il soggetto abbia posto in essere al fine di entrare a far parte di un sodalizio già costituito, lo stesso non può dirsi con riferimento ai delitti di partecipazione, promozione, direzione o organizzazione di un'associazione per delinquere in fase di costituzione, ma non ancora costituita (Cass., VI, n. 4294/2014; Cass., I, n. 130/1989); secondo Cass., VI, n. 13085/2013, con riguardo alle condotte di partecipazione a reato associativo, il tentativo è configurabile prima che siano realizzate le condizioni per il mantenimento della situazione antigiuridica che caratterizza l'organico inserimento nel sodalizio, avvenuto il quale le condotte di volontario allontanamento dal consesso criminale, non potendo essere inquadrate come desistenza ex art. 56, comma 3., andranno qualificate soltanto quali espressioni di ravvedimento post-delittuoso e sintomi di cessazione della permanenza. Un successivo, ma isolato, orientamento (Cass. III, n. 27989/2021), specificamente riguardante l'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, ha, peraltro, sostenuto che il tentativo non sarebbe mai configurabile in relazione al delitto di associazione per delinquere, trattandosi di reato di pericolo che si perfeziona non appena si è creato il vincolo associativo e si è concordato il piano organizzativo per l'attuazione del programma delinquenziale, del tutto indipendentemente dalla concreta esecuzione dei singoli delitti, onde gli atti diretti alla formazione di tale associazione o sono meramente preparatori e non interessano la sfera giuridico-penale, ovvero hanno il carattere della idoneità ed inequivocità e determinano la consumazione del delitto. Secondo taluni autori non può essere esclusa a priori la possibilità del compimento di atti idonei e diretti in modo non equivoco a costituire o ad aderire a un'associazione criminale, senza che l'agente riesca nel suo intento (Anetrini, 6; Boscarelli, 871; Spagnolo, 7; Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa, 1125). La punibilità del promotore per il reato consumato presuppone che l'associazione venga poi effettivamente costituita, salvo, in caso contrario, la punibilità per il tentativo (Spagnolo, 4). Forme di manifestazione
Le circostanze comuni È inapplicabile ai reati associativi la circostanza attenuante della minima partecipazione al fatto prevista dall'art. 114 (Cass. II, n. 17879/2014; Cass. VI, n. 29821/2001). La circostanza aggravante dell'aver cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 61, comma 1, n. 7) c.p.) è incompatibile con il reato di associazione per delinquere, in quanto il requisito del danno patrimoniale è estraneo alla struttura del reato associativo, non derivando dalla mera costituzione di un sodalizio criminoso, ancorché ispirato da motivi di lucro, un danno patrimoniale (Cass. III n. 35454/2010). La speciale aggravante della transnazionalità, prevista dall'art. 4 della l. n. 146 del 2006 (ora trasfusa, in attuazione del principio della riserva di codice, nel nuovo art. 61-bis c.p.), è applicabile al reato associativo, sempre che il gruppo criminale organizzato transnazionale non coincida con l'associazione a delinquere (Cass. S.U. , n. 18374/2013 ). Tale circostanza è configurabile in riferimento al delitto di associazione per delinquere anche qualora questo venga consumato interamente in Italia, giacché per l'operatività dell'aggravante in questione non è necessario che il reato venga commesso anche all'estero, essendo invece sufficiente che alla sua realizzazione concorra un gruppo dedito ad attività criminali a livello internazionale (Cass., V, n. 1843/2011). Per i rapporti con la circostanza aggravante già prevista dall'art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. in l. n. 203/1991, si rinvia sub art. 416-bis.1 c.p. Le circostanze aggravanti speciali Costituiscono circostanze aggravanti speciali: —la c.d. scorreria (o brigantaggio); — il numero di associati superiore a dieci; — quelle introdotte dall'art. 4, l. n. 228/2003 (programmazione dei reati di cui agli artt. 600, 601 e 602); — quelle introdotte dall'art. 1, l. n. 94/2009 (programmazione dei reati di cui all'art. 12, comma 3-bis, d.lgs. n. 286/1998); — quelle introdotte dall'art. 4, l. n. 172/2012 (programmazione dei delitti previsti dagli artt. 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, e 609-undecies). La l. n. 236/2016, introducendo nel c.p. l'art. 601-bis (che prevede il reato di “ traffico di organi prelevati da persona vivente”), ha aggiunto (con l'art. 2) un'ulteriore ipotesi alla circostanza aggravante speciale di cui al comma 6 dell'art. 416, consistente nel fatto di associarsi allo scopo di commettere i delitti di cui all'art. 601-bis ovvero di cui agli artt. 22, commi 3 e 4, e 22-bis, comma 1, della l. n. 91/1999 (recante disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti). L'aggravante della scorreria in armi allude alla circostanza che gli associati si muovano da un luogo all'altro dello spazio, essendo sufficiente che solo alcuni siano effettivamente armati (Antolisei, 253). È controverso se la scorreria, al fine di determinare una maggior lesione del bene protetto (tale da giustificare l'aggravante), oltre che finalizzata all'attuazione del programma criminoso, debba essere abituale (Boscarelli, 872), o meramente reiterata (Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa, 1143). L'aggravante è oggettiva e si comunica ai compartecipi, riguardando le modalità dell'azione e la gravità del danno (Anetrini, 6), pur applicandosi solo a chi ha partecipato alla scorreria (Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa, 1143). Perché sussista la circostanza aggravante della scorreria in armi è necessario che la condotta si connoti per un aumentato pericolo dell'ordine pubblico e per un particolare allarme sociale; tali caratteristiche sussistono allorché gli associati effettuino armati spostamenti da luogo a luogo (nelle campagne e nelle pubbliche vie) col proposito di realizzare le condotte criminose che si riveleranno possibili, con correlate azioni di depredazione, grassazione e soverchierie (Cass. II, n. 44153/2014; Cass. V, n. 32439/2001). Il concorso “eventuale” od esterno nell’associazione a delinquere Il concorso eventuale od esterno di persone nel reato associativo è configurabile, oltre che nell'ipotesi di cui all'art. 416-bis, anche in relazione al reato di associazione per delinquere generica (Cass. III, n. 38430/2008) e consiste nel condividere la responsabilità per il pregiudizio che l'associazione reca all'ordine pubblico, mediante un contributo materiale o morale al vincolo dei partecipi, senza che l'agente concorrente sia a sua volta vincolato. Ne deriva che quando il contributo sia duraturo, la prova negativa del vincolo proviene dall'esclusione secondo regole interne, anche consuetudinarie, dell'associazione, circa l'affiliazione o il comportamento dei membri. In assenza di esse, ove si dimostri che gli affiliati fanno preventivo affidamento sul contributo di taluno, la condotta di questi, non essendo svincolata dallo scopo sociale, va considerata alla stregua di quella di qualsiasi partecipe. Al contrario, ove gli affiliati non facciano preventivo conto sul suo apporto, la relativa condotta è qualificabile come concorso eventuale nel reato (Cass. V, n. 12591/1995). Il concorso eventuale nell'associazione per delinquere può essere riscontrato anche in relazione a una fase temporalmente limitata (Cass. II, n. 47602/2012). Risponde di concorso esterno nel delitto di cui all'art. 416 c.p. colui che, non essendo inserito organicamente nel sodalizio, agisca con la finalità di apportare un contributo significativo e determinante per la vita e la sopravvivenza dello stesso, supportandone l'azione nei momenti di particolare difficoltà (Cass. V, n. 33874/2021: la S.C. ha configurato il delitto di cui agli artt. 110 e 416 c.p. nella condotta dell'imputata che aveva provveduto a "bonificare" i luoghi destinati a sede dell'associazione e favorito il ricambio nella titolarità e nell'amministrazione delle società utilizzate dal sodalizio per l'attuazione del programma criminoso). Concorso di reatiÈ ipotizzabile il concorso del reato di associazione per delinquere generica con il delitto di associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti quando la medesima associazione sia finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di reati diversi (Cass. VI, n. 46301/2013). Invero, i due reati tutelano beni giuridici diversi: il primo l'ordine pubblico, sotto il particolare profilo della pericolosità sociale dell'esistenza di organizzazioni svolgenti attività illecite; l'altro la difesa della salute individuale e collettiva contro l'aggressione della droga e della sua diffusione. Ne consegue che è sufficiente che un'associazione si dedichi stabilmente anche al traffico di sostanze stupefacenti, perché risultino configurabili entrambi i reati; anche se non è necessario che tutti coloro che partecipano a un'associazione partecipino anche all'altra (Cass. V, n. 5791/1999). In breve, in forza del principio di specialità (art. 15) la costituzione di un'associazione finalizzata al solo traffico di stupefacente non potrà essere punita a doppio titolo (ex art. 416 e art. 74 T.U. n. 309/1990), mentre la costituzione di un'associazione finalizzata alla commissione, sia di reati di stupefacenti che di reati diversi, potrà essere punita, oltre che dal citato art. 74, anche dall'art. 416, con riferimento a quell'ulteriore evento giuridico, lesivo del bene tutelato, ravvisabile nella costituzione di una seconda situazione di pericolo autonomamente ravvisabile (Cass. VI, n. 11413/1995). È altresì configurabile il concorso tra il reato di associazione per delinquere e il reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa giacché quest'ultimo, non necessitando di una stabile struttura e predisposizione di uomini e mezzi e non richiedendo necessariamente la partecipazione di una pluralità di soggetti, non si pone in rapporto di specialità rispetto al primo (Cass. III, n. 40774/2019); sotto altro profilo, mentre gli elementi richiesti per la configurazione del delitto associativo sono la pluralità dei concorrenti e la finalità di commettere una serie indeterminata di delitti e l'interesse tutelato è quello dell'ordine pubblico, l'interesse protetto dal reato di esercizio abusivo di gioco d'azzardo è quello finanziario dello Stato (Cass. I, n. 33662/2005). E' configurabile il concorso tra i reati di associazione per delinquere e di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260 d.lgs. n. 152/2006), in quanto tra le rispettive fattispecie non sussiste un rapporto di specialità, trattandosi di reati che presentano oggettività giuridiche ed elementi costitutivi diversi, caratterizzandosi il primo per un'organizzazione anche minima di uomini e mezzi funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti in modo da turbare l'ordine pubblico, e il secondo per l'allestimento di mezzi e attività continuative e per il compimento di più operazioni finalizzate alla gestione abusiva di rifiuti così da esporre a pericolo la pubblica incolumità e la tutela dell'ambiente (Cass. III, n. 19665/2022). Infine, in tema di contrabbando, l'art. 81 n. 4 l. n. 907/1942 non considera come circostanza aggravante un fatto che già costituisce reato, bensì una qualificazione dell'agente, che deve essere associato per delinquere nella specifica materia del contrabbando; ne deriva che, nell'ipotesi di contrabbando commesso da tre o più persone facenti parti di un'associazione costituita per commettere tali delitti, e rientrante nel programma associativo, non sussiste reato complesso, ma si verifica concorso tra associazione per delinquere e contrabbando aggravato ai sensi del suddetto art. 81 n. 4 (Cass. III, n. 11916/2017). Il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti in materia di prostituzione può concorrere con quello di esercizio di casa di prostituzione, non richiedendo quest'ultimo l'esistenza di una struttura associativa ma soltanto la presenza di un soggetto che sovraintenda alla gestione della casa in posizione sovraordinata rispetto alle prostitute (Cass. III, n. 20798/2021). Segue . Associazione per delinquere ed associazione di tipo mafiosoQualora la condotta di appartenenza a un'associazione per delinquere di tipo mafioso, caratterizzata cioè dai requisiti propri della figura delittuosa di cui all'art. 416-bis, sia stata posta in essere fin da prima dell'entrata in vigore della l. 13 settembre 1982, n. 646, che tale ipotesi criminosa ha introdotto, si configura un unico reato associativo di natura permanente, con esclusione della continuazione fra i reati previsti dagli artt. 416 e 416-bis ed applicazione, anche per il periodo precedente all'entrata in vigore della predetta l. n. 646/1982, della pena prevista dall'art. 416-bis (Cass. I, n. 40203/2010; Cass. V, n. 45860/2012). CasisticaRicorre un'ipotesi di concorso esterno nel reato associativo nella condotta dell'albergatore che, dietro compenso, dà alloggio a più riprese ad immigrati clandestini, a lui indirizzati da una associazione per delinquere finalizzata al loro ingresso non autorizzato nel territorio italiano (Cass. I, n. 19335/2009). In assenza della prova di una pur marginale partecipazione agli utili dell'attività associativa, non è sufficiente a integrare gli estremi della partecipazione all'associazione, la reiterata fornitura di telefonini cellulari clonati agli appartenenti a un'associazione a delinquere, pur costituendo questi uno strumento prezioso per la specifica attività svolta dagli associati e anche se essi sono forniti a un prezzo di favore rispetto a quello praticato sul mercato illegale (Cass. VI, n. 416/1997). Sussiste l'elemento oggettivo della fattispecie dell'associazione per delinquere nel caso in cui sussista una comunità virtuale in internet, stabile e organizzata, regolata dalle disposizioni dettate dal promotore e gestore, volta allo scambio e alla divulgazione, tra gli attuali membri e i futuri aderenti, di foto pedopornografiche di bambini di età minore e sussiste l'elemento soggettivo, nel fatto che tutti gli aderenti al consortium sceleris siano stati resi edotti dello scopo e delle finalità del gruppo, consistenti nello scambio virtuale di immagini pedopornografiche, condizione per l'ammissione alla comunità virtuale, unitamente all'impegno di inviare periodicamente altre foto pedopornografiche (Cass. III, n. 8296/2004). Integra il reato di associazione per delinquere l'ipotesi in cui la struttura associativa si sia formata attraverso la cooptazione, da parte di un assessore regionale alla sanità e del suo più stretto collaboratore, di una serie di soggetti che, nominati in posti strategici dell'organizzazione sanitaria, provvedevano a loro volta a nominare funzionari e primari con l'obiettivo finale di controllare illegittimamente appalti e forniture delle Asl regionali (Cass. VI, n. 9117/2011). Ai fini della configurabilità del delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la P.A., è necessaria la sussistenza di un'organizzazione strutturale, che può anche essere rudimentale e preesistente all'ideazione criminosa, purché si presenti adeguata allo scopo illecito perseguito (Cass. VI, n. 15573/2017: fattispecie relativa al delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti di corruzione aggravata e di turbativa di gare d'appalto). In particolare, la S.C. ha ritenuto congrua ed immune da vizi la motivazione dell'ordinanza del tribunale del riesame relativa all'esistenza dell'elemento organizzativo, desunto dai seguenti elementi: a ) attività di pianificazione compartecipata delle procedure di gara; b ) funzione di indirizzo e guida attribuita ad uno dei sodali, capace di imporre il rispetto delle regola “sociali”, quale l'importo della “tangente” nella misura del 10%; c ) affidamento ad uno dei sodali, per un considerevole lasso di tempo, del ruolo di esattore delle “tangenti”; d ) intercambiabilità dei ruoli di erogatore di compensi illeciti, di intermediario per la consegna del denaro al pubblico ufficiale e di custode del denaro da occultare; e ) comunicazione diffusa alla cerchia degli “amici” di informazioni relative a situazioni di pericolo, come l'avvio delle indagini nei confronti di uno dei sodali, e conseguente attivazione di una rete di assistenza reciproca. La citata decisione ha, inoltre, ritenuto configurabile il vincolo associativo tra corrotto e corruttore, necessario per la sussistenza del delitto di cui all'art. 416, atteso che il ricorso sistematico all'attività corruttiva può assumere la valenza di uno strumento utile a sottrarre indebitamente, programmaticamente e strutturalmente risorse alle casse pubbliche e a ripartire, sulla base della “provvista” così formata, illeciti vantaggi ai membri del sodalizio e, quindi, a perseguire e, eventualmente, realizzare una durevole comunanza di scopi tra soggetti portatori di interessi individuali diversificati; la S.C. ha anche escluso che la circostanza che l'asserito partecipe ad un'associazione per delinquere finalizzata a “pilotare” gli appalti della P.A. debba “pagare” per ottenere l'assegnazione delle commesse costituisca un ostacolo alla configurabilità del reato. Risponde del reato di partecipazione ad associazione per delinquere il professionista che, pur nello svolgimento della propria attività in formale aderenza ai canoni della professione, persegua lo scopo di concorrere alla realizzazione di un'associazione dedita alla commissione di delitti, configurandosi, invece, un'ipotesi di partecipazione qualificata dal ruolo di organizzatore, qualora la sua condotta sia strutturalmente essenziale all'organizzazione dell'associazione (Cass. III, n. 24799/2019; in fattispecie riguardante un avvocato; conforme, Cass. III, n. 24800/2019, in fattispecie riguardante un commercialista). Integra il delitto di associazione per delinquere aggravato dalla circostanza di cui all'art. 604-ter c.p la condotta di chi si associa, attraverso una struttura dotata di organizzazione e stabilità, al fine di commettere condotte penalmente rilevanti con finalità di discriminazione, mentre integra il delitto di cui all'art. 604-bis, comma secondo, c.p. la partecipazione ad un organismo, anche privo di un minimo di organizzazione e di stabilità, che sia caratterizzato, quale elemento costitutivo del gruppo, dalla propaganda discriminatoria e dall'istigazione e incitamento a commettere atti discriminatori (Cass. V, n. 2121/2024: la S.C. ha anche escluso l'applicazione del criterio di specialità, in quanto il confronto strutturale tra le due fattispecie astratte e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle portano a non ravvisare la sussistenza di un rapporto di continenza tra le norme). Il trattamento sanzionatorio. Misure di sicurezza.Secondo la giurisprudenza (Cass. II, n. 18866/2024), premesso che il reato di cui all’art. 416-ter c.p. (che oggi precede l’art. 417 c.p.) è stato introdotto successivamente a tale disposizione, il richiamo ivi previsto ai “due articoli precedenti” deve intendersi riferito agli artt. 416 e 416-bis c.p.; in caso di condanna per il reato di associazione per delinquere, pertanto, ben può essere ordinata una misura di sicurezza, in presenza di un adeguato accertamento della pericolosità sociale dell’imputato”. Profili processualiGli istituti Il reato di associazione per delinquere è reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale monocratico (Corte d'assise nell'ipotesi di cui al 6 comma). Per tale reato: a) l' arresto in flagranza è facoltativo. È obbligatorio nelle ipotesi di cui al 1° e al 3° comma nei casi di cui all'art. 380, comma 2, lett. m), c.p.p. Secondo la giurisprudenza, non è consentito l'arresto in flagranza del reato di associazione a delinquere qualora gli agenti, nell'immediatezza del fatto, non abbiano acquisito elementi indicativi, con assoluta evidenza, dell'esistenza di una stabile struttura organizzativa volta alla realizzazione di un programma criminoso oggetto del vincolo associativo, in modo da consentire di escludere la sussistenza del mero concorso di persone nel reato (Cass. VI, n. 8694/2018: la S.C. ha confermato l'ordinanza con la quale il g.i.p. aveva escluso la flagranza del reato associativo finalizzato alla corruzione elettorale, contestato nei confronti di tre indagati sorpresi mentre erano intenti a suddividere numerosissime tessere elettorali a seconda delle indicazioni di voto cui i titolari delle stesse si sarebbero dovuti attenere); b) il fermo è consentito nei casi di cui ai commi 1, 4, 6 e 7, prima ipotesi; nei restanti casi non è consentito, salvo che non ricorra l'ipotesi di cui all'art. 71, d.lgs. n. 159/2011; c) l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali è consentita. La competenza per territorio In tema di reati associativi, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio; in particolare, considerato che l'associazione è una realtà criminosa destinata a svolgere una concreta attività, assume rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il pactum sceleris, quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l'operatività della struttura (Cass. II, n. 19177/2013 e Cass. I, n. 4118/2018). Misure cautelari In tema di applicazione delle misure cautelari personali nei confronti di soggetti indagati di reato associativo ai sensi dell'art. 416 c.p., la concretezza e l'attualità dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, comma 1, lett. c), c.p.p. non vengono meno nel caso in cui i beni del sodalizio siano attinti da provvedimenti di natura cautelare reale, atteso che le predette misure differiscono ontologicamente tra loro, perseguendo finalità diverse e tutelando distinti beni giuridici (Cass. III, n. 28515/2018: fattispecie in cui la S.C. ha confermato la decisione del tribunale che, nonostante la successiva adozione di una serie di misure cautelari reali, con le quali era stato disposto il sequestro di immobili, di società, di siti internet e di trust costitutiti dall'associazione, aveva ritenuto persistere il pericolo di reiterazione del reato). Premesso che, ai fini della legittimità del sequestro preventivo di una società occorre dimostrare il durevole asservimento della stessa e del suo patrimonio alla commissione delle attività illecite, quale società strutturalmente illecita o di comodo, la S.C. ha ritenuto illegittimo il sequestro preventivo delle quote sociali e del patrimonio di una società di professionisti, disposto in relazione al reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti di corruzione, turbativa d'asta e falso in atto pubblico, rilevando che detta società risultava occasionalmente coinvolta nella commissione di un numero ridotto di delitti-scopo, cosicchè ciò non consentiva di connotare in senso esclusivamente illecito l'operatività della persona giuridica (Cass. VI, n. 20244/2018). Indizi e prove La commissione dei “reati-fine" dell'associazione, di qualunque tipo essa sia, non è necessaria, né ai fini della configurabilità e nemmeno ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione (Cass. III, n. 9459/2016; Cass. IV, n. 11470/2021). In tema di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, gli indizi raccolti nel corso di conversazioni telefoniche intercettate, a cui non abbia partecipato l'imputato, possono costituire fonte diretta di prova, senza necessità di reperire riscontri esterni, a condizione che siano gravi, precisi e concordanti. In particolare, si esige che: a) il contenuto della conversazione sia chiaro; b) non vi sia dubbio che gli interlocutori si riferiscano all'imputato; c) per il ruolo ricoperto dagli interlocutori nell'ambito dell'associazione di cui fanno parte, non vi sia motivo per ritenere che parlino non seriamente degli affari illeciti trattati; d) non vi sia alcuna ragione per ritenere che un interlocutore riferisca il falso all'altro (Cass. VI, n. 8211/2016). Si è successivamente ritenuto che non occorre, ai fini della costituzione di un'associazione per delinquere, una esplicita manifestazione di una volontà associativa, potendo la consapevolezza dell'associato essere dimostrata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione (Cass. II, n. 28868/2020); l'appartenenza di un soggetto ad un sodalizio criminale può essere ritenuta anche in base alla partecipazione ad un solo reato-fine, laddove il ruolo svolto e le modalità dell'azione siano tali da evidenziare la sussistenza del vincolo, condizione che può verificarsi solo quando tale ruolo non avrebbe potuto essere affidato a soggetti estranei, oppure quando l'autore del singolo reato impieghi mezzi e sistemi propri del sodalizio in modo da evidenziare la sua possibilità di utilizzarli autonomamente, come membro e non già come persona alla quale il gruppo li ha posti occasionalmente a disposizione (Cass. I, n. 29093/2022). Con riferimento ad un ambito più strettamente processuale, Cass. II, n. 29343/2023, ha ritenuto che, ai fini del raggiungimento della prova dell’esistenza del sodalizio, non può essere valorizzato il passaggio in giudicato, nell’ambito del medesimo procedimento, dell’affermazione di responsabilità nei confronti di coimputati che, in sede di concordato, abbiano rinunciato ai corrispondenti motivi di appello. Ricusazione Non sussiste alcuna valida causa di ricusazione del giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza in precedente procedimento nei confronti di alcuni coimputati e che successivamente concorra a pronunciare in separato processo altra sentenza nei confronti di altro concorrente nel medesimo reato associativo, qualora la posizione di quest'ultimo, e, dunque, la sua responsabilità penale, non sia stata oggetto di valutazione di merito nel precedente processo (Cass. VI, n. 39367/2017: la S.C. ha ha escluso l'incompatibilità ex art. 34 c.p.p. del giudice che, nel procedimento celebrato a carico di altri coimputati, aveva già positivamente valutato l'attendibilità delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia concernenti anche l'imputato separatamente giudicato). Sospensione dei termini processuali in periodo feriale Ai fini dell’operatività della deroga prevista dall'art. 240-bis, comma 2, disp. coord. c.p.p., nella parte in cui prevede l'esclusione - operante anche per i termini di impugnazione dei provvedimenti in materia di cautela personale - della sospensione feriale dei termini delle indagini preliminari nei procedimenti per reati di criminalità organizzata, tra questi ultimi rientrano non solo i reati di criminalità mafiosa e assimilata, ma anche i delitti associativi previsti da norme incriminatrici speciali, ma qualsiasi tipo di associazione per delinquere ex art. 416 c.p., correlata alle attività criminose più diverse (Cass. II, n. 6996/2020). Riqualificazione del fatto contestato ex art. 521 c.p.p. E’ stata ritenuta la legittimità della riqualificazione, nell’ambito di un reato associativo, della condotta di direzione in quella di mera partecipazione (Cass. II, n. 1061/2021). Rapporti giurisdizionali con autorità straniere Ai fini dell'estradizione da o verso gli Stati Uniti d'America, l'art. II, § 2, del Trattato bilaterale del 13/10/1983, ratificato con legge n. 225 del 1984, anche nella versione aggiornata alle modifiche introdotte dall'Accordo di Roma del 03/05/2006, ratificato con legge n. 25 del 2009, consente l'estradizione per i reati associativi previsti dalle rispettive legislazioni nazionali (associazione per delinquere nell'ordinamento italiano e conspiracy in quello statunitense) indipendentemente dal requisito della previsione bilaterale del fatto, purché tale ultima condizione sia soddisfatta per i reati fine dell'associazione criminosa (Cass. VI, n. 28417/2022). Il reato associativo come reato-presupposto della responsabilità da reato degli enti immateriali.In tema di responsabilità da reato degli enti, si è ritenuto che il profitto del reato di associazione per delinquere commesso nell'interesse o vantaggio dell'ente stesso, ai sensi dell'art. 24-ter, comma 2, d.lgs. n. 231/2001, confiscabile anche per equivalente ex art. 19 stesso d.lgs., è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall'insieme dei reati-fine, dai quali è del tutto autonomo e la cui effettiva realizzazione è agevolata dall'organizzazione criminale (Cass. III, n. 8785/2020, con la precisazione che, a prescindere dal fatto che i reati-fine producano di per sé vantaggi, ai fini della determinazione del profitto del reato associativo, occorre riferirsi al reato nel suo "complesso", concentrandosi sull'associazione, la quale manifesta una capacità produttiva di profitto che oltrepassa quella del singolo reato-fine, con accresciuta potenzialità di vantaggio). BibliografiaAleo, Sistema penale e criminalità organizzata. Le figure delittuose associative, Milano, 1999; Anetrini, Associazione per delinquere, in Enc. giur., III, Roma, 1988; Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Milano, 2008; Antonini, Le associazioni per delinquere nella legge penale italiana, in Giust. Pen., 1985, II; Boscarelli, Associazione per delinquere, in Enc. dir., III, Milano, 1958; Cadoppi- Canestrari-Manna-Papa, Trattato di diritto penale, parte speciale, 1, III, Torino, 2008-2013; De Francesco, Associazione per delinquere e associazione di tipo mafioso, in Digesto pen., I, Torino, 1987; De Francesco, Societas sceleris. Tecniche repressive delle associazioni criminali, in Riv. it. dir. proc. pen. 1992; De Vero, Ordine pubblico (delitti contro), in Digesto pen., IX, Torino, 1995; De Vero, I reati associativi nell'odierno sistema penale, in Riv. it. dir. proc. pen. 1998; Fiandaca e Musco, Diritto penale. Parte speciale, Bologna, 2012; Fiore, Ordine pubblico (dir. pen.), in Enc. dir., XXX, Milano, 1980; Marini, Ordine pubblico (delitti contro l'), in Nss. D.I., app., V, Torino, 1984; Patalano, L'associazione per delinquere, Napoli, 1971; Rosso, Ordine pubblico (delitti contro l'), in Nss. D.I., XII, Torino, 1965; Spagnolo, Reati associativi, in Enc. giur., XXVI, Roma, 1996; Valiante, Natura plurisoggettiva della partecipazione all'associazione criminale, in Riv. it. dir. proc. pen. 198. |